DALLA SELVA AL VILLAGGIO
Alle origini del Paesaggio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni
Nella prima metà dell’XI sec. nel Principato di Salerno emerge una miriade di potentati locali che fa capo ad altrettante figure di conti o di altri membri di un’aristocrazia fondiaria longobarda strettamente imparentata con la dinastia principesca, la cui preminenza sociale deriva essenzialmente dalla disponibilità di cospicue rendite fondiarie. Questi signori riuscivano a potenziare la produttività agricola dei loro fondi grazie alla fondazione di chiese e monasteri privati. Appariva loro estremamente chiaro quanto il legame che teneva uniti i coloni e le loro famiglie alla terra, dipendesse, prima ancora che dai vincoli imposti dai patti agrari, dalla capacità che le loro chiese e i loro monasteri avevano di richiamare manodopera e diventare, attraverso un’officiatura regolare e l’espletamento delle funzioni parrocchiali, punto di riferimento essenziale nella vita delle comunità rurali.
L’azione svolta dal monachesimo italo-greco nella Lucania longobarda, mentre rispondeva alle necessità gestionali dei signori laici, offriva anche prospettive di stabilità a quei migranti che, per sfuggire allo stato di insicurezza causato dall’espansione dei domini arabi, avevano trovato rifugio in questa regione. Fu attraverso la mediazione del monachesimo italo-greco che in questi territori vennero attratte nuove risorse umane e ottimizzate le capacità produttive dei patrimoni aristocratici. Nacquero così nuovi insediamenti, un nuovo assetto territoriale fu promosso e governato attraverso un importante processo di ripopolamento, dando vita alla maggior parte degli insediamenti ancora oggi esistenti tra i confini del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
VALLE DEL TANAGRO
Il successo di un’integrazione nelle pergamene di Santa Maria di Pertosa
Originariamente monastero italo-greco, Santa Maria di Pertosa venne inglobato, probabilmente tra la fine dell’XI e gli inizi del secolo successivo, nel patrimonio dell’abbazia benedettina di Cava dei Tirreni. Questo spiega le ragioni della presenza delle sue pergamene nel fondo “Greco” dell’Archivio cavense.
Le pergamene di Pertosa tramandano i testi di contratti di vario genere: donazioni, testamenti, compravendite, permute, mutui. Le località, direttamente o indirettamente interessate o in qualche modo ricorrenti in questi testi, sono quelle di Pertosa e Auletta, Caggiano, Buccino, Petina, Satriano, Palomonte, Sicignano. Un territorio circoscritto dai rilievi della valle del Tanagro, collocato, in età longobarda, tra le terre demaniali dei Principi salernitani e la Contea di Conza. Territorio di consolidata cultura latina e di diritto longobardo che, a partire dal X sec., fu interessato da un intenso sviluppo demografico, conseguenza dello stanziamento in queste terre di intere comunità grecofone. La datazione di queste pergamene, relativa ormai alla piena età normanna, ci impedisce di conoscere le dinamiche più antiche di questo sviluppo insediativo. Tuttavia proprio l’attestazione tarda dell’uso della lingua greca nella pratica notarile, costituisce la prova più eloquente di quanto pervasivo e massiccio sia stato qui il flusso migratorio.
I contenuti di queste pergamene ci consentono di penetrare nella vita quotidiana di famiglie di contadini e artigiani, di coloni di enti monastici locali, ma anche di piccoli e medi proprietari terrieri, di preti e funzionari, tutti discendenti delle prime generazioni che arrivarono qui dalla Calabria e dalla Sicilia, tutti fattori di sviluppo importanti per i processi produttivi e le dinamiche culturali di questa parte del salernitano.
Oltre ai villaggi menzionati nelle pergamene greche di Santa Maria di Pertosa, alle pendici sud-orientali degli Alburni esisteva un altro nucleo di popolazione greca, quello degli abitanti del Casale dei Cosentini, oggi tra i confini di Castelluccio Cosentino, frazione di Sicignano degli Alburni. Un documento menziona questo insediamento tra i beni donati all’arcivescovo di Salerno dal principe salernitano Gisulfo II, insieme ai casali di Dulicaria, Persano, Liciniano, San Vittore di Giffoni e Olevano. Già nell’XI sec., quindi, il villaggio esisteva ed era sottoposto alla giurisdizione del principe di Salerno e dei suoi congiunti.
La sopravvivenza di toponimi indicativi, come “Calabri”, anche alle falde occidentali dell’attuale comune di Caggiano, proprio in prossimità della laura di Santa Venere, ci informano dell’esistenza di numerosi altri nuclei di popolazione greca, attratta qui dalle prospettive di stabilità e sicurezza che la gestione patrimoniale di importanti monasteri greci della zona potevano offrire ad una popolazione in fuga: S. Onofrio di Petina, S. Maria della Sperlonga, S. Venere di Caggiano, e una miriade di altre piccole realtà sopravvissute oggi solo nei relitti toponomastici se non in qualche rudere ormai reso irriconoscibile dal tempo.
VALLO DI DIANO
La presenza italo-greca in una terra di frontiera
Attraversato da una delle più importanti arterie del Mezzogiorno, la consolare romana ab Regio ad Capuam, nota anche come via Popilia, il Vallo di Diano è un’area di antico popolamento e da sempre zona di passaggio obbligato per gli spostamenti nord-sud sul versante Tirrenico. Questa specificità ha reso questa parte della Campania una zona privilegiata per le contaminazioni culturali fin dalle epoche più remote. Nei secoli alto medievali il Vallo, che costituiva l’ultima propaggine meridionale del demanio principesco di Salerno, si trovava lungo la linea di confine tra domini bizantini e terre Longobarde. Le tracce lasciate dallo stanziamento di popolazione greca appaiono qui sporadiche, ma non per questo meno significative, soprattutto se inserite in un quadro d’insieme in grado di evidenziarne la portata in termini di persistenza ed esiti sulla lunga durata, specie nei processi di costituzione di quello che viene ormai definito “patrimonio immateriale”.
TRA LE MONTAGNE SACRE DEL CILENTO
Gli esempi più significativi dell’insediamento monastico bizantino in Campania si collocano nello scenario evocativo di due imponenti rilievi montuosi del Cilento, quello del Monte Gelbison e quello del massiccio del Monte Bulgheria.
La denominazione del Monte Gelbison, nel cuore del Cilento, potrebbe derivare dall’arabo “jabal” o “jibel” che significa appunto “montagna”. Niente di sorprendente se si pensa che ad Agropoli, nel corso del X sec., i Musulmani avevano impiantato un accampamento militare e che la presenza saracena in queste zone risulta documentata da diverse fonti, comprese quelle agiografiche. Proprio sulle spiagge cilentane Nilo da Rossano, tra i maggiori protagonisti del monachesimo bizantino in Italia meridionale, mentre si recava “nelle Terre dei Principi” per vestire l’abito monastico, si sarebbe imbattuto in un manipolo di Saraceni.
Il Monte Gelbison appartiene al subappennino lucano ed arriva fino ai 1.705 m di altitudine. L’estensione di questo massiccio tocca i territori comunali di Vallo della Lucania, Rofrano, Ceraso, Cuccaro Vetere, Laurito e Futani, tutti interessati da evidenze materiali e da vicende storiche collegate all’azione svolta dal monachesimo-
italo greco in quest’area.
Sulla cima del monte, il cui rilievo dirada progressivamente in direzione della piana di Velia, si trova il santuario della Madonna del Monte Sacro, fondato in un’area su cui sorgeva un antico tempio pagano, forse edificato dai Lucani ed in seguito dedicato ad Era. La conversione del sito al culto mariano viene tradizionalmente attribuita ai monaci italo-greci, ipotesi che troverebbe conferma nella menzione di una “rupis Sancte Marie” contenuta in un diploma emanato da re Ruggero II nel 1131 a favore del monastero bizantino di Santa Maria di Rofrano, riferibile, secondo alcuni storici locali, proprio al Gelbison
L’imponente massiccio roccioso di Monte Bulgheria domina, invece, il Golfo di Policastro. La sua vetta più alta raggiunge i 1220 m. Una tradizione diffusa, ma priva di fondamento, attribuisce la sua denominazione allo stanziamento in questa zona di un contingente bulgaro sceso in Italia meridionale nel VI sec. al seguito dei Longobardi. Un’altra teoria, altrettanto discutibile, fa derivare il toponimo dall’insediamento in questa parte del Cilento di monaci originari della Bulgaria. Tutto intorno al massiccio è distribuito un numero rilevante di insediamenti monastici italo-greci.