Rofrano

Rofrano è il tipico insediamento del Cilento sviluppatosi intorno ad un monastero italo-greco. Ma la vicenda di questo centro offre anche un’eloquente testimonianza dell’ampio raggio d’azione esercitato da questi cenobi in questa parte della Campania meridionale quali promotori di nuovi insediamenti, della messa a coltura di terre spopolate da secoli, dello sfruttamento razionale delle risorse naturali. Fondato probabilmente alla fine del X sec. il monastero di Rofrano risulta, ancora in piena età normanna, dotato di un patrimonio consistente e della giurisdizione su alcuni insediamenti distribuiti in un’area molto estesa. La natura e la dislocazione dei beni di questa abbazia sono descritte nel privilegio con cui re Ruggero II, nel 1131, ne confermava la sottomissione al monastero fondato da San Nilo a Grottaferrata, nel Lazio meridionale. Dipendenze di Rofrano erano a Laurino, a Sassano, a Sanza, a Buonabitacolo e nei dintorni di Montesano sulla Marcellana, a Policastro, a Rivello, in Calabria e persino a Benevento e a Salerno. Molte di queste dipendenze daranno origine ad insediamenti stabili o ne promuoveranno lo sviluppo, come dovette accadere per San Zaccaria di Sassano o per Santa Maria de Sirippi a Sanza, oltre che per lo stesso borgo di Rofrano. Nel 1476 Grottaferrata decise di vendere il feudo di Santa Maria di Rofrano, esclusi la chiesa e il monastero, al nobile napoletano Aniello Arcamone. Il feudo passò in seguito nelle mani di Giovanni Carafa, conte di Policastro, che obbligò i monaci a trasferirsi nella grancia di San Pietro al Tumusso, presso Montesano sulla Marcellana, trasformando il cenobio in palazzo baronale. Nel 1710 fu redatto un inventario di quello che ancora restava, nel Cilento e nel Vallo di Diano, del patrimonio ereditato da Rofrano, grazie al quale siamo in grado di identificare un numero consistente di monasteri italo-greci oggi scomparsi. Qualche anno dopo gli abati di Grottaferrata decisero di cedere ai Certosini di Padula anche la grancia di San Pietro al Tumusso.

L’insediamento sorto intorno al monastero si sviluppò alle falde del poggio digradante verso il corso del fiume Faraone e in seguito fu inglobato in una cinta muraria che si apriva in corrispondenza di tre varchi: ad oriente “Porta Sant’Antuono”, a mezzogiorno “Porta Vallone” e a occidente “Porta del Leccio”. L’aspetto dell’attuale santuario, dedicato a nostra Signora Madonna di Grottaferrata, è frutto di numerosi interventi che ne hanno in gran parte modificato l’impianto originario. Proprio qui era ubicato l’edificio di culto principale del monastero italo-greco (katholikón), diventato nel corso del XII sec. dipendenza di Grottaferrata. In origine doveva avere una pianta a croce greca, coperta da una cupola all’incrocio dei due bracci. Nell’area sud-orientale del terrazzamento su cui si sviluppavano i volumi del monastero, in seguito furono costruiti alcuni palazzi gentilizi.