FORME DI VITA MONASTICA
Si trovano adottati due modelli monastici per eccellenza, inaugurati tra III e IV sec. in Egitto rispettivamente da Antonio e da Pacomio, ovvero l’eremitismo e il cenobitismo, l’ascesi profonda, ottenuta con l’isolamento dal mondo, e un’esistenza comunitaria all’interno di un monastero.
Per il monachesimo italo-greco non possediamo documentazione scritta in grado di restituirci un’immagine precisa degli spazi monastici e della loro organizzazione e destinazione funzionale. Gli stessi racconti agiografici non fanno alcun riferimento alle strutture materiali delle diverse forme di vita, se non quando parlano di grotte in relazione ai periodici isolamenti negli eremi che molti alternavano ciclicamente alla vita comunitaria.
Molto spesso il sito scelto per praticare l’eremitismo o per costruire un monastero è già stato in passato luogo di culto e a volte coincide con un complesso rupestre dedicato all’arcangelo Michele.
IL MONACO E LA GROTTA
Lo spazio considerato più adatto per praticare l’ascesi, ossia l’isolamento dal mondo e la contemplazione di Dio attraverso la preghiera costante, è quello delle cavità naturali. Ad imitazione del profeta Elia che ritrova nel silenzio della caverna dove già si era rifugiato Mosè, sul Monte Oreb, nel Sinai, il dialogo con Dio e il senso profondo della sua missione di profeta, numerosi altri monaci scelsero di vivere in caverne e anfratti naturali nei deserti di Egitto e Palestina. L’egiziano Macario (IV sec.), discepolo di Antonio Abbate, e Teodoro il Siceota (VI-VII sec.) vissero per molto tempo in cavità scavate sotto altari di chiese o allargando piccole insenature naturali nel deserto. E infine Sant’Onofrio (IV-V sec.), vero campione dell’anacoretismo, visse tutta la sua vita in una grotta del deserto egiziano, vestito solo dei suoi capelli e della sua barba e cibandosi esclusivamente di erbe e radici che trovava nelle immediate vicinanze del suo rifugio.

Gli eremi
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Le laure
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Monasteri ed edifici religiosi
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