IL MONACO
TRA REGOLA E QUOTIDIANITÀ
Tutto il suo vestire consisteva in
un sacco tessuto di pelo di capra, ne aveva due per
cambiarsi da un anno all‘altro, e una fune per cinta che non
scioglieva se non se una volta l‘anno;
sostenendo con fermezza, senza ribrezzo, il prurito
d‘innumerevoli e fastidiosi insetti
Non aveva egli né letto, né sedia, né armadio,
né cassa, né borsa, né bisaccia, anzi
neppur un calamaio,
egli che pur scriveva tanto;
spalmava della cera nel solco di un
pezzo di legno e vi incideva i caratteri,
così portò alla luce
un gran numero di libri”
dalla Vita di s. Nilo da Rossano
Le Vite dei santi monaci sono molto diverse dalla precedente letteratura agiografica italo-greca. Non c’è più spazio per le legende, per le scelte eroiche di martiri o di vescovi confessori. Il protagonista è ora il monaco che rinuncia a tutto, non possiede niente e non ha bisogno di niente. Abituato alla fatica, al digiuno, a privazioni di ogni sorta, condizionato dalle difficoltà di un tempo dominato dall’incertezza e dalla violenza, che lo trascina da una regione all’altra, alla continua ricerca di uno spazio e di un tempo del silenzio. Contemporaneamente dotato di uno spiccato senso pratico e dalle grandi capacità organizzative, determinato a non arrendersi alle continue minacce esterne. Fondatore di cenobi e restauratore di chiese abbandonate, pieno di sollecitudine per i bisogni di chi gli sta vicino, sensibile alle difficoltà delle comunità locali che nutre, guarisce e difende. Abile diplomatico presso i potenti e umile contadino, all’occorrenza anche valoroso guerriero.
La “regola”
I monaci provenienti dalla Calabria meridionale e dalla Sicilia, sebbene avessero grande familiarità con i trattati di san Basilio, seguivano il modello dettato dagli ideali eremitici dei padri del deserto. Antonio Abate, monaco ed eremita vissuto in Egitto tra il III e il IV sec., costituiva il loro primo modello di riferimento. La loro scelta monastica non si può, dunque, identificare come “basiliana”, e in realtà la stessa definizione di “Ordine basiliano” fu creata dalla Cancelleria pontificia negli anni di papa Innocenzo III (1198-1216) per distinguere, in maniera molto generica, i monasteri greci dell’Italia meridionale da quelli che seguivano la regola benedettina. Oltretutto a Bisanzio non si conoscevano ordini ed un elemento che caratterizzava la vita monastica in Oriente era l’estremo individualismo. Le comunità vivevano seguendo la regola (τυπικόν / typikòn) dettata dall’igumeno fondatore, molto spesso redatta in forma di testamento. Accanto al disciplinare poteva esistere anche un typikòn liturgico, una sorta di sinassario, recante l’indicazione delle feste da celebrare durante l’anno.
Secondo alcuni testi agiografici di ambito italo-greco il santo fondatore stesso, in quanto modello di vita ascetica per i suoi monaci, incarnava la regola. Nei monasteri fondati da Fantino il Giovane rappresentava norma tutto quello che piaceva al santo e il suo insegnamento era “la regola”. Su tale concetto insiste anche l’agiografo della Vita di Cristoforo di Collesano. Questi per i suoi monaci era l’esempio da seguire, sia nelle preghiere, nelle veglie e nelle salmodie, che nel lavoro, nei servizi, nello spirito di sacrificio, nell’ubbidienza e in tutte le funzioni da svolgere all’interno del cenobio.
Il testamento del fondatore, dove in genere vengono descritte, con qualche accenno autobiografico, fondazione e crescita del monastero, e trasmesse in forma generica le regole secondo le quali si doveva svolgere la vita monastica, è un elemento tradizionale nella storia del monachesimo bizantino. Per la Calabria si conosce, ad esempio, quello di Paolo, morto prima del 1085, fondatore del monastero della S.ma Trinità presso Seminara.
Nel suo testamento Paolo, nato in una famiglia calabrese emigrata a Salerno, accenna brevemente al suo curriculum monastico, iniziato nell’abbazia di Grottaferrata, per poi descrivere più dettagliatamente il ritorno in Calabria e il suo impegno costante per la fondazione del suo monastero. Ricorda la costruzione del monastero e delle celle per i monaci, la consistenza del tesoro, costituito da vasi sacri, paramenti, libri e icone, e l’attenzione al canto durante le celebrazioni. Non tralascia disposizioni legate ad aspetti pratici, come la necessità di piantare vigneti e alberi da frutta, di acquistare bestiame per il lavoro agricolo, di costruire persino un edificio per ricevere degnamente pellegrini e viandanti. Non fa, invece, alcun riferimento al regolamento interno alla comunità monastica. Si ha l’impressione che Paolo prevedesse la triste fine del suo monastero, sottomesso, qualche tempo dopo la sua morte, dal conte Ruggero I d’Altavilla al monastero regio di Santa Maria di Bagnara.
Il Regime Alimentare
In un manoscritto miscellaneo risalente alla fine del XII sec., attualmente custodito presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, ci è pervenuta la parte relativa al regolamento del refettorio del monastero di S. Nicola di Casole presso Otranto. Si tratta probabilmente della trascrizione tarda di parte dell’originario typikòn dettato dal monaco Giuseppe, il “padre santo” menzionato dal manoscritto che, tra il 1098 e il 1099, fondò il cenobio sotto la protezione di Boemondo, principe di Taranto e Antiochia. Le norme riguardano quasi esclusivamente il regime alimentare imposto ai monaci durante le varie fasi del calendario liturgico. Compare più volte il divieto di mangiare formaggio e uova, insieme alla norma generale di consumare sempre pasti modesti.
Una prima parte riguarda il cibo da consumarsi nei giorni non festivi. La regola prescrive un piatto solo da scegliere tra legumi preparati con olio d’oliva, verdure, pesce e vino. Non c’è alcuna prescrizione per una cena regolare, che è invece prevista soltanto la Domenica di Pasqua e in occasione dell’Esaltazione della Croce. Il lunedì è considerato normalmente giorno di digiuno e per tre volte la settimana, ossia il lunedì, il mercoledì e il venerdì, ai monaci di Casole è proibito usare olio nella preparazione dei loro alimenti. Il mercoledì e il venerdì, inoltre, non possono consumare pesce né vino, tranne quando si celebravano festività dedicate al Cristo.
Severe disposizioni sono previste anche per i giorni festivi che dovessero cadere durante la Quaresima. Nessun uso di olio il lunedì e nessun uso di vino il mercoledì e il venerdì, nessun tipo di pesce durante tutto il periodo quaresimale. Nella prima settimana della Quaresima è prescritta una dieta particolarmente rigida che prevede il consumo di pane e fagioli lasciati ammollare nell’acqua. Questo fino a venerdì quando è consentito il consumo di vino, grano bollito e verdura (kollyba), ma soltanto in onore della festa di San Teodoro. La dieta diventa ancora più restrittiva la settimana prima della domenica delle Palme, quando sono previsti solo pane, fagioli bolliti, verdure crude o selvatiche e noci da accompagnare a semplice acqua. Durante la Settimana Santa i monaci avrebbero digiunato per tre giorni fino al mattino del giorno di Pasqua.